Educazione all’autoimprenditorialità: un investimento culturale di lungo periodo
Oltre la ricerca del lavoro: formare allo spirito di iniziativa
Nel dibattito sulle politiche del lavoro, il tema dell’autoimprenditorialità è spesso trattato come una soluzione residuale, un’alternativa per chi non trova occupazione dipendente. Questa visione riduttiva rischia però di oscurare un punto fondamentale: l’autoimprenditorialità è prima di tutto una competenza trasversale, utile non solo a fondare un’impresa, ma a sviluppare capacità di iniziativa, problem solving e visione progettuale in ogni ambito professionale.
Educare allo spirito imprenditivo non significa spingere tutti a diventare imprenditori, ma formare cittadini proattivi, capaci di trasformare idee in azioni e di contribuire con creatività e responsabilità al contesto sociale ed economico in cui vivono.
Le radici nell’educazione
Non a caso, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha introdotto un Sillabo per l’autoimprenditorialità rivolto alla scuola secondaria di secondo grado. È un documento che riconosce il valore formativo di competenze come la collaborazione, la gestione del rischio, la capacità di pianificazione e l’orientamento ai risultati.
Si tratta di un passo culturale rilevante: l’imprenditorialità non è più un sapere specialistico confinato alle business school, ma diventa parte integrante del percorso educativo di base.
Questa prospettiva è in linea con quanto raccomandato dalle istituzioni europee, che da tempo individuano lo spirito di iniziativa e imprenditorialità tra le otto competenze chiave per l’apprendimento permanente. Preparare i giovani a considerare anche la possibilità di “creare lavoro”, e non soltanto di trovarlo, è un investimento che riguarda l’intero sistema Paese.
Orientamento e politiche attive come leve di accompagnamento
Se la scuola getta le basi, il mondo dell’orientamento e delle politiche attive del lavoro rappresenta il contesto in cui queste competenze possono tradursi in percorsi concreti.
L’orientatore, tradizionalmente percepito come figura di supporto alla ricerca di occupazione dipendente, si trova oggi a dover ampliare il proprio raggio d’azione: non solo aiutare a scrivere un curriculum o affrontare un colloquio, ma anche accompagnare chi desidera verificare la fattibilità di un’idea imprenditoriale, comprendere i vincoli normativi, stimare i rischi e valorizzare le opportunità di finanziamento.
In questo senso, l’orientamento diventa funzione abilitante: non sostituisce il ruolo degli esperti tecnici (commercialisti, consulenti, formatori), ma ne prepara l’accesso, rendendo la persona consapevole, motivata e pronta a confrontarsi con la complessità della scelta.
Una sfida culturale e sistemica
L’educazione all’autoimprenditorialità non è un “modulo” accessorio, ma una sfida sistemica. Significa ripensare l’idea stessa di lavoro come dimensione dinamica, dove l’occupabilità non dipende solo dal posto disponibile ma anche dalla capacità di generare valore in modi nuovi.
In questo scenario, il capitale più prezioso non è soltanto quello economico, ma quello culturale e relazionale: la possibilità di coltivare nei cittadini, sin dall’infanzia, una mentalità orientata all’iniziativa, alla resilienza e all’apprendimento continuo.
In un mercato del lavoro in rapida trasformazione, insegnare a “creare lavoro” è una forma di sicurezza sociale: riduce la vulnerabilità delle persone, aumenta la loro autonomia e contribuisce a un tessuto economico più innovativo e inclusivo.
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