Non tutto ciò che si conta… conta davvero. Parola di commercialista.
Mettersi in proprio è un po’ come saltare nel vuoto: affascinante e spaventoso allo stesso tempo. C’è chi lo vede come un rischio da evitare e chi come un’opportunità da cogliere. Ma cosa significa davvero avviare un’attività oggi, in Italia? Quali sono le sfide da affrontare e quali le soddisfazioni che possono arrivare?
Ne abbiamo parlato con Vanina Stagno Piantanida, Dottore commercialista che da anni affianca professionisti e imprese nei loro percorsi di crescita. Con lei abbiamo cercato di capire quali siano i fattori critici di successo, i falsi miti, i passi fondamentali per evitare l’improvvisazione e, soprattutto, quali consigli dare a chi sogna di mettersi in proprio.

TR: Partiamo dall’inizio. Quando un tuo cliente ti dice “voglio mettermi in proprio”, qual è la prima cosa che ti viene in mente: un rischio o un’opportunità?
VSP: Un’opportunità, senza dubbio, almeno io la vedo – quasi- sempre così. Ogni volta che qualcuno mi dice “voglio mettermi in proprio”, penso al potenziale che si potrebbe dispiegare: trasformare un’idea in valore, costruire qualcosa di proprio, dare un contributo concreto, duraturo e sostenibile all’economia e alla società. Naturalmente esiste anche una componente di rischio, ma il rischio è parte integrante di qualsiasi percorso, d’impresa e di vita. Il punto è affrontarlo con consapevolezza e con le giuste competenze, trasformandolo da minaccia a leva di sviluppo.
TR: C’è un luogo comune molto diffuso: in Italia “non conviene” fare impresa perché ci sono troppe tasse. È davvero così o dietro questa frase si nasconde un po’ di leggenda metropolitana?
VSP: È una semplificazione, e come tutte le semplificazioni rischia di essere fuorviante. Il sistema fiscale italiano è complesso e spesso ha elementi quasi “imponderabili”, ma dire che “non conviene” fare impresa è una visione parziale.
Ci sono tantissime storie d’impresa di successo sia recenti sia di attività che esistono da più generazioni e sono la ricchezza dell’Italia, quel made in Italy che tanto è ammirato nel mondo.
Fare impresa conviene eccome, se si costruisce un progetto solido, sostenibile e ben pianificato.
La leva fiscale può e anzi deve essere gestita strategicamente, e oggi esistono numerosi strumenti, agevolazioni e incentivi – soprattutto per l’innovazione e per le startup – che possono fare una grande differenza. La chiave è non improvvisare: con un piano chiaro e il supporto di professionisti competenti, il contesto fiscale diventa un elemento da governare, non un ostacolo insormontabile.
TR: Guardando alle imprese che funzionano, quali sono, secondo te, i fattori critici di successo che le rendono davvero vincenti? C’è un “filo rosso” che le accomuna?
VSP: Sì, direi di sì. Le imprese che funzionano hanno sempre alcuni tratti comuni:
- Una visione chiara, capace di guardare oltre l’oggi e di dare un senso profondo al progetto.
- Un modello di business sostenibile, fondato su numeri solidi e strategie realistiche.
- Capacità di adattamento, perché i mercati cambiano velocemente e la flessibilità è una competenza chiave. Occorre essere pronti a modificare il modello di business, mantenendo la visione di fondo e le proprie competenze distintive.
- Un team motivato e competente, che crede nel progetto e lavora per farlo crescere.
- Cultura dell’innovazione e della formazione continua, senza le quali si rischia di restare fermi.
Il filo rosso, in fondo, è la combinazione tra passione e disciplina: le imprese vincenti non si affidano al caso, ma costruiscono il successo giorno dopo giorno con metodo e visione.
TR: Domanda da un milione di dollari: imprenditori si nasce o si diventa? E quanto conta la formazione, secondo la tua esperienza?
VSP: Credo che si possa diventare imprenditori, se si ha il coraggio di mettersi in gioco. Certo, alcune persone hanno attitudini naturali come la propensione al rischio o la capacità di leadership, ma queste qualità possono essere coltivate e potenziate.
La preparazione e la voglia di imparare hanno un ruolo fondamentale: conoscere le dinamiche economiche, comprendere i numeri, saper leggere il mercato e costruire una strategia sono competenze che si imparano e che fanno la differenza tra un’idea e un’impresa di successo. Fare impresa è un percorso di crescita continua.
TR: Molti partono con entusiasmo, ma spesso un po’ all’improvviso. Quali passi ritieni indispensabili per non cadere nell’improvvisazione e acquisire quelle competenze minime che fanno la differenza?
VSP L’entusiasmo è una risorsa preziosa, ma da solo non basta. Per partire con il piede giusto suggerisco di:
- Analizzare il mercato e i competitor, per capire se l’idea ha davvero spazio.
- Costruire un business plan realistico, anche semplice, ma basato su dati concreti.
- Valutare le risorse necessarie, finanziarie e umane, e pianificare come reperirle.
- Conoscere gli adempimenti e le forme giuridiche, per scegliere quella più adatta al progetto.
Questi passi non eliminano il rischio, ma lo riducono e, soprattutto, lo rendono gestibile. La preparazione è ciò che trasforma un’idea in un progetto concreto.
TR:. Veniamo alla parte pratica. Se oggi un giovane (o meno giovane) ti chiedesse: “sto pensando di mettermi in proprio, da dove comincio?”, quali sarebbero i tuoi 4 consigli d’oro?
VSP:
- Parti da un bisogno reale: l’impresa nasce per risolvere un problema o soddisfare un’esigenza. Se non c’è, difficilmente il progetto funzionerà.
- Studia e pianifica: comprendi il mercato, valuta i costi, costruisci un piano economico-finanziario anche di base.
- Circondati delle persone giuste: nessuno fa impresa da solo. Scegli collaboratori, partner e consulenti che condividano la visione e possano colmare le tue lacune
- Sii pronto a cambiare rotta: la flessibilità è una delle armi più potenti. Il piano serve, ma serve anche la capacità di modificarlo quando il contesto cambia.
TR: Chiudiamo con uno sguardo personale. Tu che ogni giorno affianchi persone e imprese: qual è la cosa più bella che hai visto nascere da chi ha avuto il coraggio di fare questo passo?
VSP: La cosa più bella è vedere le persone crescere e scoprire, o consolidare, parti di sé che non usavano appieno. Vedere un’idea nata in un caffè diventare un’azienda che crea valore, occupazione e impatto positivo è emozionante, ma ancora più gratificante è osservare come cambiano i protagonisti: diventano più consapevoli, più resilienti, più “arditi” anche, con lo sguardo che guarda sempre oltre.
Le parole di Vanina ci ricordano che l’autoimprenditorialità non è una scelta per pochi eletti, ma un percorso accessibile a chiunque abbia coraggio, metodo e la giusta dose di preparazione. Fare impresa significa imparare a gestire il rischio, coltivare competenze, costruire relazioni solide e saper cambiare rotta quando serve.
È vero: le tasse ci sono, il mercato è competitivo e i vincoli non mancano. Ma ci sono anche opportunità, strumenti, incentivi e – soprattutto – la possibilità di dare vita a un progetto che porta valore a sé stessi e agli altri.
In fondo, come dice Vanina, la cosa più bella non è solo vedere nascere un’impresa, ma assistere alla trasformazione delle persone che la creano. E forse è proprio lì, in quello sguardo che impara a guardare oltre, che si trova il senso più autentico dell’autoimprenditorialità.
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