I Neet e il primato della ragion pratica
Le idee che promuovono lo spirito di iniziativa e l’imprenditorialità nei giovani
I Neet, i ragazzi che non studiano né lavorano, vengono spesso descritti come la generazione dei delusi, quelli che hanno perso la speranza di potersi ritagliare un ruolo appagante in società e pertanto non si impegnano in niente, né in attività di studio o formazione, né a cercare un lavoro.
La delusione nasce di solito da un’aspettativa che non si realizza ovvero dall’idea che ci si fa della realtà e che poi non trova riscontro nella vita concreta vissuta nella quotidianità, per cui se così è, una delle possibili cause del problema sta nel modo con cui si generano le aspettative.
Molti Neet sono inattivi perché aspettano un lavoro fisso, vengono definiti “gli schizzinosi”, cioè quelli che rifiutano lavori che non sono a tempo indeterminato o perfettamente corrispondenti ai titoli e alle qualifiche posseduti e quindi non coerenti con il percorso di studi compiuto.
Credere che sia sufficiente un titolo di studio per avere il lavoro desiderato è l’aspettativa, falsa, che genera il problema, vero, e provoca l’inattività e la delusione conseguente.
Il lavoro per cui si è studiato spesso arriva dopo che si è lottato per averlo, magari facendo tutt’altro, anche per molto tempo e alla fine è come un premio alla determinazione e alla costanza e come tale vale anche di più. Ma se l’aspettativa è quella del tipo “tutto e subito” allora sarà quasi automatico spostare le cause del problema al di fuori di sé, nel Paese che non funziona, nelle istituzioni corrotte, nei meccanismi perversi della lottizzazione e dei favoritismi, rinforzando il problema e indebolendo la persona che lo ha generato.
Altri Neet sono quelli che lasciano la scuola perché ritengono il sistema dell’istruzione inadeguato e ingiusto, discriminatorio e inutile e passano gran parte del loro tempo a denunciare quello che non va, dal loro punto di vista, quello che non funziona, il marcio che c’è nella società e nelle persone intorno a loro.
Anche in questo caso uno degli aspetti chiave del problema sta nella genesi delle aspettative,
in quello che loro vorrebbero accadesse affinché potessero sentire di fare parte di un sistema in cui si riconoscono, che li rappresenta e che per molti di loro coincide con l’idea di un mondo da cui è bandita ogni forma di impegno vero, un mondo in cui le cose sono smart, in cui non ci sono sbattimenti e tutto viene da sé in modo easy, sia che si tratti di fare soldi, praticare uno sport, avere successo con le ragazze, impegnarsi nello studio o ottenere risultati nel lavoro: tutto va bene purché sia veloce, facile e divertente.
L’aspettativa che genera il problema è l’idea di una realtà che si è prodotta nella mente dei giovani anche attraverso il confronto con modelli ingannevoli come coetanei di successo protagonisti del mondo musicale, social o televisivo che sostenuti da sistemi commerciali e sapienti strategie di marketing, alimentano una sottocultura che fa presa soprattutto su chi valori ne possiede ancora pochi ed è facilmente seducibile sia dalle droghe che dal mito del denaro facile e tutto subito.
G. Kelly, il celebre psicologo statunitense è stato l’ideatore della Teoria dei Costrutti Personali secondo cui i comportamenti di un individuo sono psicologicamente determinati dal modo in cui egli anticipa gli avvenimenti, ovvero dalla rappresentazione di essi che ognuno elabora interiormente e che condiziona le azioni successive influenzando la motivazione a compierle. Seguendo questa teoria, chi teme un colloquio di lavoro tenderà a vivere interiormente l’anteprima di quanto potrà accadere quando verrà a trovarsi di fronte al selezionatore e questa anticipazione influirà sui comportamenti successivi, ovvero egli potrà anche decidere di rinunciarvi o di affrontare comunque il colloquio con un forte livello di stress. Se al posto del colloquio ci si mette l’idea di diventare grandi il risultato potrebbe essere simile: la rappresentazione della vita adulta fatta di doveri e responsabilità provocherà ansia e tensione e il comportamento conseguente sarà quello di trovare ogni espediente possibile per evitarla.
L’idea che i giovani Neet si sono fatti del futuro e di loro stessi non è sufficientemente motivante da indurli all’azione perciò per aiutarli, più che proporre soluzioni per cambiare la loro vita, occorre promuovere in loro una visione più ampia in cui ritrovarne il significato e i valori chiave che la caratterizzano, facilitando il compito di esprimere in questo modo i desideri più autentici di uno sviluppo professionale nella ricerca della realizzazione personale.
Tra le otto competenze chiave per l’apprendimento permanente definite dall’Unione Europea c’è lo Spirito di iniziativa e di imprenditorialità che va sviluppato per acquisire capacità di tradurre idee in azioni, pianificare e gestire i processi necessari a raggiungere gli obiettivi, ma nel caso dei Neet, prima di pianificare gli obiettivi occorre intervenire sulle idee per cui, essendo questo un periodo di grandi trasformazioni proprio come lo è stato in Europa quello a cavallo tra sette e ottocento, può essere utile una rilettura dei protagonisti di quell’epoca che con le loro idee hanno contribuito a generare un movimento rivoluzionario noto alla storia come Illuminismo.
In particolare comincerei da Immanuel Kant e dalla sua Critica della ragion pratica per sviluppare una riflessione utile a concentrare energie e risorse sulle azioni che realmente possano condurre a realizzare i risultati che si desiderano ottenere nella propria vita. Spesso, come già detto, questo non accade perché il potenziale che abbiamo viene impiegato male, le risorse che possediamo vengono spese per fronteggiare problemi di difficile soluzione che dissuadono dall’intraprendere ogni azione per risolverli. I Neet non agiscono perché manca loro la visione in cui trovare il significato delle proprie azioni ma queste allo stesso tempo devono essere ispirate da idee in grado di fornire la giusta motivazione.
Non mi pare che Kant abbia avuto figli, ma se ne avesse avuto uno Neet credo l’avrebbe invitato ad agire comunque, persuadendolo con le sue argomentazioni sul primato della ragion pratica su quella pura e che applicate al problema dell’inattività dei giovani sdraiati possono tradursi nell’invito a creare da sé le condizioni per costruire la propria libertà agendo guidati da un imperativo categorico, ovvero da quella massima che al tempo stesso puoi volere che divenga una legge universale. Tu devi, quindi puoi, l’essenza della libertà per Kant sta in una morale autonoma, ovvero che è legge a sé stessa e non ha bisogno di premi, castighi o spiegazioni: si agisce per agire.
Anni dopo Karl Marx riprese il concetto in un suo componimento giovanile dal titolo “Considerazione di un giovane sulla scelta del proprio avvenire” in cui affermava che “la natura dell’uomo è tale che egli può raggiungere la propria perfezione individuale solo agendo per il perfezionamento e il bene dell’umanità”; le implicazioni di questo pensiero sulla storia degli anni a venire la conosciamo bene e aiuta a capire come un’idea possa influire sulla realtà al punto da assoggettarla ad essa.
Non si può conoscere la verità, così conclude Kant la sua Critica della ragion pura, perciò non è possibile trovare argomentazioni buone che sostengano le nostre azioni: esse vanno compiute lasciandosi guidare dall’idea, indipendentemente dal rapporto che essa ha con la realtà, di quello che si ritiene giusto, quindi dalla propria morale personale. Un approccio simile si ritrova in molte posizioni della psicologia contemporanea che sostengono che non è sempre la conoscenza a favorire un cambiamento ma se mai il contrario, è il cambiamento, che viene agito comunque, a promuovere nuove conoscenze. Molti anni prima Blaise Pascal utilizzava un concetto simile per affermare che non è possibile dimostrare l’esistenza di Dio ma che tuttavia crederci conviene perché se lo si fa la vita acquista senso e significato, mentre se non si crede si permane nel dubbio e alla fine se Dio c’è si ha vinto due volte perché si viene ricompensati mentre nella seconda ipotesi oltre a vivere male, secondo Pascal, poi si va anche all’inferno.
Anche Martin Luther King molti anni dopo avrebbe fatto suo il concetto esortando il suo pubblico a passare all’azione anche in mancanza di tutti gli elementi che occorrono per decidere di farlo con la sua celebre affermazione “Salite il primo gradino con fiducia. Non occorre vedere tutta la scala, salite il primo gradino.”, o il Mahatma Gandhi che invitava i suoi seguaci a divenire il cambiamento che avrebbero desiderato vedere nel mondo.
Con un linguaggio un po’ più moderno si potrebbe concludere che i Neet debbano divenire più proattivi e intraprendenti e meno reattivi e passivi e se li si vuole aiutare occorre sviluppare in loro una visione di loro stessi e del mondo che li circonda in grado di motivarli ad un’azione che possa garantire la libertà che desiderano uscendo dagli stereotipi e sviluppando autonomia nel determinare i principi guida della propria volontà.
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